C’era anche il Cfp alla veglia di preghiera e non solo sulla vita di don Bosco, organizzata venerdì 27 gennaio, dalla grande famiglia salesiana di Bra. Coordinata dall’ educatrice Jessica Vetro’ dell’oratorio, la serata ha ripercorso la vita del Santo dei giovani con tappe significative interpretate dai vari ambienti pastorali della casa (oratorio, scuola media, cooperatori, exallievi) e dai ragazzi del Cfp. Bellissime le loro testimonianze, raccolte in un video dai formatori coordinati dai colleghi Mortara, Dominici, Tripaldi, GONELLA e Marlekaj; molto simpatica la sx cenetta della firma del primo contratto di apprendistato vissuta dai ragazzi delle prime Cfp. Poi tant’è testimonianze e monta musica. Davvero una bella occasione per mettere in pratica lo stile salesiano e gli insegnami del nostro Santo.
Di seguito la testimonia di Valter Manzone, che ha ripercorso, a pochi giorni dalla pensione, la sua lunga permanenza in Istituto e nel. CFP:
Il primo «don Bosco» che la Provvidenza ha messo sulla mia strada, quando non conoscevo neppure l’esistenza della congregazione salesiana – era un afosissimo mese di luglio del lontano 1973 – fu don Giovanbattista COLOMBO, al tempo direttore di questa casa salesiana. I cui cancelli varcai perché accompagnavo mio cugino, già iscritto all’allora Istituto tecnico industriale, che veniva a consegnare dei documenti. Il don ci accolse con una tale giovialità, offrendoci – lo ricordo bene – un bicchiere di limonata fresca, presa dal frigorifero del refettorio comunitario e poi facendoci visitare tutta la scuola, che – tornato a casa – dissi ai miei genitori: per favore andiamo a disdire l’iscrizione al liceo albese, perché io voglio frequentare una scuola come quella che visitato oggi. Ben sapendo, in cuor mio, che il percorso che mi si prospettava non era del tutto affine alle mie inclinazioni… (e, certamente, lo può anche testimoniare il signor Cagnoli, che fu mio insegnante di materie tecniche!!). Ai salesiani di Bra trascorsi comunque un quinquennio ricco di soddisfazioni, di esperienze (studente, in primis, poi cameriere in mensa, assistente in refettorio, in camerata) e non privo di qualche frustrazione. Ma don Bosco, attraverso i tanti salesiani che man mano conoscevo – giorno dopo giorno – chiedeva spazio nella mia vita. Tanto che, conseguito il diploma, feci un anno di studio e di lavoro fuori da queste mura, nelle quali rientrai con gioia non appena mi fu proposto di venire a fare il formatore in quello che era il nascente Cfp! Cfp dal quale non mi sono più allontanato. Rimanendoci tutto il tempo necessario per raggiungere la pensione, traguardo che taglierò – guarda caso – proprio martedì 31 gennaio.
Se riavvolgo il nastro di questa avventura, mi passano davanti agli occhi i volti e gli sguardi di exallievi ed exallieve che hanno intrecciato la loro storia con la mia. Lasciandomi, ciascuno, un segno. A volte più profondo, a volte più superficiale. Ma tutti con un denominatore comune: il bisogno di essere accolti, accompagnati, spronati e, a tratti, anche corretti. E sempre, in ogni situazione, don Bosco mi è venuto in aiuto: con tutti i miei limiti, posso dire che ho davvero cercato di declinare quotidianamente il suo sistema preventivo, cercando, man mano di contestualizzarlo ai tempi che inevitabilmente cambiano sempre, con la certezza che ragione e amorevolezza, unitamente al contesto religioso che la casa salesiana offre, costituiscono, oggi come allora, una ricetta infallibile per avvicinare i giovani ed entrare, in punta di piedi, nella loro storia. Proprio come faceva il nostro amato santo dei Giovani.
In tutti i miei lunghi anni di permanenza in questi cortili e in queste aule, ho sempre cercato di non essere di quelli che, mentre pronunciano la parola gioia non accennano ad un sorriso e neppure di quelli che predicano ma non praticano! Al contrario ho cercato, non sempre riuscendoci, di essere «positivo alla vita» (espressione che coniai durante la pandemia e che piacque molto anche a don Stasi, allora ispettore e presidente Cnos), senza aver mai fatto nulla di eccezionale, ma avendo sempre cercato di svolgere eccezionalmente bene i miei impegni e doveri quotidiani.
E concludo. Alla scuola di don Bosco, di certo ho imparato questo messaggio: «Fate quello che potete, Dio farà quello che non possiamo fare noi»; allora il mio augurio è che questo invito sia accolto da tutti noi che siamo qui stasera, nella certezza che il nostro Santo ci camminerà accanto, tutti i giorni.«Occorre saper accogliere la sfida di accettare la vita come dono e come servizio, camminando sulla strada della santità possibile, rialzandoci quando si cade e cercando i migliori sentieri per arrivare alla meta. Che, per tutti noi che siamo qui, sarà certamente il Paradiso!»